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38 Una missione da compiere
Dall’Opera Realina A don Vincenzo, già prossimo al sacerdozio, per
all’ACEG ragioni non precisate era stato affidato l’incarico di
sostituire il professore di filosofia nelle classi liceali
Nelle poche sintetiche note lasciate da don Sergio del Seminario.
sulla nascita dell’Oratorio cittadino maschile, sta scrit- Si dice che gli allievi si divertissero assai ad ascol-
to: “Dopo 14 anni (dal 1937, anno della morte di don tare il professore-sostituto, che dedicava molto del suo
Armando Benatti, N.d.R.) l’oratorio riprende vita”. tempo, destinato alle lezioni, ad illustrare i suoi sogni
pastorali da realizzare nel grande complesso in stato di
La grande sofferta esperienza del fondatore del- decadenza e di abbandono.
l’Opera Realina era fallita. Così umanamente sembra- Tutto veniva giudicato semplice utopia. Ma utopia
va. non fu.
Non sono trascorsi quattordici anni. Sono trascorsi Ordinato sacerdote e inviato come cappellano in
solo se si fa riferimento all’apertura ufficiale del nuo- Cattedrale, subito si mise all’opera con caparbietà e
vo Oratorio Cittadino, avvenuta nel 1952. Non ci fu- risolutezza per realizzare il suo sogno.
rono tanti anni di silenzio e di disimpegno. L’attività
educativa per la gioventù era stata ripresa a Carpi negli
anni ’40, quando la Guerra mondiale stava insangui-
nando particolarmente l’Europa.
Un giovane sacerdote ordinato nel 1939, volitivo,
intraprendente, dalle vedute aperte al mondo giovani-
le, incominciava a realizzare i progetti che aveva so-
gnato ancora studente di teologia, cercando con osti-
nazione spazi idonei per l’educazione.
Una storia che ha dell’incredibile. La racconta con
dettagli di grande interesse, dopo aver fatto meticolose
ricerche, Dante Colli, in una delle sue pregevoli pub-
blicazioni edite dalla Libreria Il Portico nel 1998, dal
titolo “I ragazzi del campo”.
Il sogno di don Vincenzo
Non ancora sacerdote, aveva incominciato a sogna-
re e a progettare il suo futuro servizio pastorale. Mise
gli occhi sul Palazzo Corso, allora fatiscente e moral-
mente degradato. Il vecchio edificio, collegato ad altri
stabili seicenteschi al suo interno, stava lì a poche
decine di metri dal Seminario e, dalle finestre prospi-
cienti Corso Fanti, si poteva osservare il “traffico” che
animava i suoi portici, giorno e notte.
Di notte, in modo particolare, si udiva il vociare
litigioso che si protraeva fino a tarda ora.
Ampi cortili interni davano respiro ad altri grandi
edifici in condizioni precarie, quasi di abbandono,
destinati ancora a convento delle suore cappuccine.

