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Nel dono di un servizio 167
alla “bella bionda”. Per questo venivo sovente anche
preso in giro da qualche compagno di poco più avanti
Sebastiano negli anni. Cui facevano seguito mie “terribili” reazio-
ni scomposte.
Un ragazzo controcorrente
Quel giorno Sebastiano prese un pallone e con i
di Stefano Discosti suoi modi pseudoautoritari mi si avvicinò mal celando
nello sguardo la tenerezza di guidare un ragazzino
inesperto e “tutto bambagia”, come ero io, alla scoper-
ta delle regole ferree dello sport e delle asprezze
educative e inesorabili che lo sottendono.
Così mi fece allontanare di alcuni metri dalla linea
Eravamo nei primi anni settanta. L’Eden ventoso e di porta e mi impose, a modo suo, di affrontare i pal-
spelacchiato di quel giorno, brulicava di bambini dai loni alti. Per farlo costringeva la palla ad un violento
calzoncini ascellari come i miei. Le magliette puzza- rimbalzo sul terreno. La parabola conseguente era quasi
vano di sudore mitigato dai risciacqui col “Tide” e sempre destinata a scavalcarmi. Allora partivano
spesso di acetone a causa dei numeri in plastica che monocordi richiami a scegliere meglio “il tempo”, e
squagliavano al passaggio del ferro da stiro. Una di con quella sua parlata tipica dall’accento meridionale,
queste la indossavo io. Era tutta nera. Con un numero mi catechizzava sul fatto che: - guarda che in partita
diritto e scheletrico sulla schiena. Ero un portiere. questi sono “go” (sì, così troncava la elle).
Slavato e magrissimo. Dalla faccina sottile e i capelli
Qualcuno osava ridere di straforo. E notai con scon-
certo, a riprova dei miei sospetti sulla sua alienità, che
a nessuno mai fece sentire il benché minimo rancore
per la lesa maestà. E solo quando la cosa diventava
molesta, si decideva, con impettita aria di sfida, a re-
darguire, con finta acrimonia, quegli irriguardosi ra-
gazzini che scimmiottavano ingiustamente una parlata
che aveva l’unica colpa di essere diversa dalla canti-
lenante cadenza emiliana, apostrofandoli con un esila-
rante:
“Cossa fai, il fubbo?”
C’era all’oratorio una sede “istituzionale” per qual-
siasi attività. E quella della Carpine era all’ultimo pia-
no dell’edificio che sotto ospitava i camerini del cine-
ma teatro Eden. Sebastiano ne era il depositario anche
perché destinato fisicamente a conviverci; dal momen-
to che per diverso tempo vi si adattò a soggiornare.
Infatti entrando si scorgeva subito un letto posto su un
lato, così che gli interrogativi su questo ragazzo, così
unico, anziché sopirsi, si moltiplicavano. Ma il picco-
lo appartamento era confortevole. Munito di un televi-
sore in bianco e nero perché il colore era un lusso
Sebastiano superfluo essendo quasi sempre acceso durante le par-
Pangallo tite di coppa della Juventus…

